Ovvero quali sono i quattro pilastri fondamentali degli investimenti che dovresti sempre considerare prima di investire i tuoi risparmi.
Benvenuto/a al secondo modulo del corso su come creare il tuo Fondo Pensione Personale a basso costo e con il giusto rapporto di rischio/rendimento.
Ti ringrazio di aver seguito fin qui e spero che le informazioni che stai ricevendo siano di valore e possano aiutarti a raggiungere i tuoi obiettivi in modo più agevole e adeguato alle tue esigenze.
Nella scorsa lezione abbiamo visto insieme come il sistema finanziario tradizionale di fatto impedisce, attraverso commissioni spesso esagerate, di sfruttare tutto il potenziale che offrono gli investimenti.
In questo modo, sottraendoci la possibilità di poter disporre di un capitale importante al momento del nostro pensionamento, ci impediscono di godere a pieno dei frutti dei nostri sforzi lavorativi durati anni.
Abbiamo visto anche che le commissioni che paghiamo sono spesso praticamente inutili e che potremmo costruire il nostro fondo di investimento senza passare attraverso tutti questi intermediari e riappropriarci così dei nostri capitali e della nostra effettiva capacità di generare denaro.
Attraverso delle tabelle hai potuto calcolare il tuo potenziale di investimento, il capitale finale e la rendita mensile netta a cui aspirare una volta in pensione.
Se ancora non l’avessi ancora fatto ti suggerisco a calcolarlo prima di procedere oltre.
Sono ormai più di dieci anni che lavoro nel mondo della finanza e degli investimenti e ogni giorno lo dedico a cercare le migliori soluzioni per la mia società e per i miei clienti che assisto con la consulenza finanziaria indipendente.
Le regole base della finanza, per quanto sembri un mondo molto complesso, sono in realtà poche e di facile comprensione.
Iniziamo con i quattro pilastri degli investimenti.
Come ogni edificio progettato per rimanere in piedi per anni, è necessaria una struttura robusta e capace di sostenere il peso anche in condizioni difficili.
Per i mercati finanziari è esattamente lo stesso, il tuo fondo di investimento dovrà poggiare su una struttura solida che gli permetterà di rimanere in piedi quando le condizioni di mercato saranno difficili e di poter crescere quando tali condizioni diventeranno favorevoli.
I pilastri su cui basare i tuoi investimenti sono:
Di questo aspetto ne abbiamo già ampiamente discusso nella parte precedente.
Esistono però due tipologie di costi: i costi eliminabili e i costi non eliminabili.
I costi eliminabili sono le commissioni di gestione degli intermediari finanziari.
Abbiamo visto che questi costi sono come la forza di gravità per i nostri investimenti: più sono alti meno guadagniamo. Questo vale anche se i costi sono apparentemente ridotti. Ricordi il 4% di commissione come aveva inciso sul nostro capitale? Lo aveva fatto crescere meno della metà di quanto avrebbe potuto senza commissioni.
Esistono però due categorie di costi che non possiamo eliminare ma solamente gestire per ridurli al minimo e sono:
– le commissioni di negoziazione dei titoli che dovremo pagare al momento dell’acquisto o della vendita dei nostri investimenti alla nostra banca;
– le commissioni di tenuta del conto su cui abbiamo i nostri capitali investiti;
– le imposte statali sui conti correnti;
– le imposte statali sulle plusvalenze dei nostri investimenti.
Questo è un concetto molto importante nella finanza e che i professionisti conoscono bene: prende il nome di “Costo Opportunità”. Ogni volta che faccio una scelta di investimento perdo la possibilità di farne altre che potrebbero rivelarsi più vantaggiose. Proprio ciò che avviene quando paghiamo i costi delle commissioni agli intermediari: stiamo rinunciano all’opportunità di investire quei soldi in modi più redditizi.
Il 4% di commissioni sembra poco ma in realtà i soldi che paghiamo agli intermediari non vengono reinvestiti a nostro vantaggio e quindi, per la legge degli interessi composti, perdiamo negli anni in modo esponenziale la nostra capacità di investimento.
Il grafico rende ancora più evidente quanti soldi perdiamo a causa delle commissioni nel corso degli anni.
Questi costi possono essere ridotti, anche considerevolmente, scegliendo la banca che offre le condizioni di negoziazione titoli e di tenuta conto più favorevoli. Ormai con l’avvento dell’homebanking effettuando operazioni di compravendita direttamente online senza andare allo sportello (che è quello che suggerisco sempre ai miei clienti) si risparmia anche il 70-80% dei costi di commissione.
Le banche ormai si danno battaglia sui costi di tenuta dei conti correnti, dei conti titoli e delle commissioni di esecuzione ordini, quindi puoi facilmente fare dei confronti e scegliere la banca più vantaggiosa.
Tempo fa mi sono trovato nella situazione in cui dovevo acquistare un pacchetto di titoli azionari. Ho chiesto il preventivo a due banche: una mi ha chiesto 9,90 euro ed un’altra 85,50 euro. Un costo quasi dieci volte di più per la medesima operazione e la medesima quantità di titoli ma costi decisamente diversi. Vale la pena fare qualche ricerca.
Per ridurre ulteriormente i costi di transazione, dopo aver scelto la banca più conveniente, abbiamo un’altra possibilità: ridurre le transazioni. Vale sempre la regola che meno compravendite di titoli faremo nel corso degli anni, minore saranno le commissioni pagate e migliori saranno le performance dei nostri capitali.
Coloro che fanno “trading online”, cioè che negoziano titoli anche più volte al giorno sperando di ottenere un guadagno, questa regola la ignorano perentoriamente… Ed infatti tutti gli studi in merito hanno dimostrato che oltre il 95% dei trader perde tutto il capitale nel giro di pochi mesi, non solo a causa dell’impossibilità di prevedere i mercati, ma soprattutto per le tante commissioni che devono pagare al broker.
(N.B. per quanto le tante pubblicità ti mostrino il contrario, fare trading non è investire, è più simile a cercare la fortuna al casinò dove il banco e non tu, alla fine, vince sempre.)
Gli altri due costi, imposte di bollo e imposte sulle plusvalenze, sono obbligatorie e previste dal nostro sistema fiscale per questo abbiamo solo poche possibilità per gestirle.
L’imposta di bollo (articolo 19 del decreto legge n. 201/2011) sui conti correnti per le persone fisiche è di 34,20 annue se le giacenze medie superano i 5.000 euro (per le imprese l’imposta è di 100 euro).
Le imposte sulle plusvalenze invece dipendono da quanto abbiamo guadagnato (o perso) durante l’anno. Ma solo se abbiamo venduto il nostro investimento.
Cosa si intende per “Plusvalenza”?
Ricordiamo brevemente che cos’è una plusvalenza: se ad inizio anno acquisto dei titoli per un valore di 100.000 euro e li rivendo il 31 dicembre dello stesso anno a 110.000 euro, ho una plusvalenza di 10.000 euro.
Solo la plusvalenza andrà tassata, come “Reddito Diversi” con aliquota unica al 26%.
La plusvalenza non è altro che l’eventuale guadagno che ho percepito su un investimento al momento della vendita.
E’ importante sottolineare che:
Riferendoci all’esempio di prima se il mio investimento fosse passato da 100.000 euro a 110.000 euro nel corso dell’anno e lo vendessi facendo una plusvalenza i 10.000 euro, a questa dovrei sottrarre:
10.000 x 26% = 2.600 euro
di imposte (c.d. redditi diversi).
Mi rimarrebbe un profitto netto di 7.400 euro.
Ricorda inoltre che le imposte le paghi solo quando vendi.
Anche questo è un aspetto importante perché facendo solo poche operazioni potrai sfruttare al massimo la capacità di crescita di tutto il tuo capitale prima di essere cannibalizzato dalle imposte.
Il rischio è la probabilità di perdere i capitali facendo un certo investimento. In finanza non c’è praticamente nessun investimento che non abbia una seppur minima quantità di rischio.
Gli investimenti con un grado di rischio estremamente basso, ma non nullo, sono ad esempio i conti corrente su cui lascio il mio denaro.
A parte le spese e le imposte di bollo in teoria i miei risparmi su tali conti non corrono quasi alcun rischio ma non rendono nulla.
In pratica però non è così perché, anche se ormai le possibilità sono sempre più remote, la banca potrebbe fallire e non essere in grado di restituire il mio denaro. Tali evenienze, dopo le passate crisi del sistema bancario, sono state sempre più tenute sotto controllo dai regolatori con l’adozione di standard obbligatori per le banche, vedi gli accordi di Basilea II.
Però lasciare i tuoi capitali sul conto corrente, cosa che prediligono molto gli italiani, è un errore che si può pagare molto caro.
Infatti questi capitali subiscono un costo occulto, che apparentemente non percepiamo, che si chiama inflazione.
L’inflazione è, per il risparmiatore, un’insidia da non sottovalutare, soprattutto in questo nuovo periodo storico dove sembrerebbe che sia tornata relativamente consistente.
Il problema del risparmiatore con l’inflazione è essenzialmente psicologico. Quando abbiamo ad esempio 100.000 euro sul conto, il fatto che, ogni anno, rimangano più o meno costanti, ci da una falsa sicurezza. Però come tutte le cose, in finanza, gli effetti si vedono nel lungo termine.
Il potere d’acquisto dei tuoi risparmi che nel corso del tempo diminuisce, non lo riesci a percepire ma c’è.
Proprio come una continua emorragia nascosta dal conto corrente dove sonk stati “parcheggiati” i soldi.
Ad esempio considerando il periodo degli ultimi cinque anni, 100.000 euro del 2017, valgono quanto 117.000 euro di oggi (fine 2022): hanno perso 17.000 euro di potere d’acquisto ma sul conto corrente sono sempre 100.000 euro.
Abbiamo sfatato il mito che “tenere i soldi sotto il materasso” (che sia quello di casa o il conto corrente) sia, come molti pensano, il modo meno rischioso di gestire i propri risparmi.
Un gradino più in alto nella classifica del rischio troviamo i Titoli di Stato. Tali strumenti finanziari sono garantiti dagli stati che li emettono, di conseguenza la loro rischiosità è data dalla probabilità che lo stato emittente non riesca a pagare l’investitore secondo quanto concordato. I meno rischiosi Titoli di Stato sono ad esempio i Treasury Bond americani e i Bund tedeschi.
Più rischiose sono le Obbligazioni Corporate, ovvero dei prestiti fatti a grandi aziende che si sono impegnate a pagare gli interessi periodicamente e a restituire il capitale preso in prestito alla scadenza.
Il rischio di questi titoli è che l’azienda non abbia ad un certo punto della sua vita, le capacità finanziarie per poter pagare gli interessi pattuiti. In questo caso l’azienda va in “default” e chi ha in mano le obbligazioni potrebbe subire ingenti perdite.
Con un rischio più elevato troviamo i fondi indicizzati agli indici azionari (ad es. gli ETF). Sono interessanti fondi a basso costo che replicano l’andamento dei vari listini azionari o parti di essi.
Un fondo indicizzato all’indice americano NASDAQ, ad esempio, si comporta quasi esattamente come questo indice, sale se sale l’indice e viceversa.
Questi fondi hanno al loro interno il rischio di mercato, cioè quando le “borse scendono” il valore di questi investimenti scende altrettanto però non hanno il rischio specifico d’impresa che si avrebbe acquistando le azioni di una o più società quotate.
Volendo aumentare ancora di più il rischio, a fronte di un rendimento più elevato nel corso del tempo passiamo alle azioni di società quotate. In questo caso il rischio intrinseco del nostro investimento in azioni è molteplice.
Ogni volta che valutiamo un’azione dovremmo sempre porre infatti la domanda: quali sono i fattori che possono mettere a rischio il mio capitale se investo in questa azienda?
Nel caso degli investimenti azionari tali fattori sono molteplici e sono, solo per citarne alcuni: il Rischio di Mercato, il Rischio d’Impresa, il Rischio Valutario (se investi in un mercato con valuta diversa dalla mia ad esempio per noi i mercati statunitensi), ecc.
A fronte di un maggior rischio posso aspirare ad un maggior rendimento nel caso le cose andassero bene per l’azienda scelta, ma se le cose dovessero andare male potrei perdere anche tutto quello che ho investito su di essa.
Emblematico il recente caso di Facebook (Meta) che ha perso oltre il 75% del suo valore.
Investire in azioni è un’impresa molto complessa e rischiosa e andrebbe lasciata ai professionisti veramente esperti.
In breve, non è il modo migliore per investire i tuoi risparmi.
Se comunque volessi investire in azioni ho scritto un libro proprio su come scegliere le aziende migliori su cui investire che si intitola: “Investire, guida per imprenditori” che è stato best seller su Amazon nel settore economia e lo puoi trovare a questo link:
Esistono infinite soluzioni di investimento con differenti gradi di rischio, dagli investimenti immobiliari al trading, alle criptovalute, ecc. che non possiamo trattare, per ovvie ragioni, in questa sede.
Per estremizzare il discorso si potrebbe dire che l’investimento più rischioso di tutti potrebbe essere quello fatto attraverso il trading online, le scommesse o al casinò. In questi casi si gioca sempre contro il banco che ha la maggiore probabilità di vincita e la rovina è praticamente certa.
Ricorda, il tempo è il tuo alleato più importante e fedele nel mondo degli investimenti.
Il detto “il tempo è denaro”, mentre nel mondo frenetico del lavoro può sembrare un eccesso di alacrità spesso fine a se stesso, nel mondo della finanza è invece una legge incontrovertibile.
Come investitore, maggiore tempo hai a disposizione e maggiore sarà il rendimento dei tuoi investimenti.
Per essere specifici, stiamo parlando del tempo misurato in anni, non in giorni o mesi.
Basta che torni alle tabelle del Modulo precedente per renderti conto un investimento di 50.000 euro iniziali con un apporto annuo di 3.000 euro per 40 anni ti permette di accumulare un capitale atteso netto di circa 900.000 euro mentre allo stesso modo se investo solo per 20 anni il capitale atteso netto finale sarà di 269.000 meno di un terzo.
E’ la legge degli interessi composti.
Questa legge permette di guadagnare non solo sul capitale iniziale ma anche su quel poco che ho incrementato nel corso dell’anno.
Ad esempio se ho un rendimento medio atteso del 10% annuo e un capitale iniziale di 100.000 euro allora alla fine del primo anno avrò un guadagno di:
100.000 x 10% = 10.000 euro
Il mio capitale totale, se investo di nuovo i soldi guadagnati sarà di 110.000 euro
L’anno successivo, sempre ipotizzando lo stesso rendimento, guadagnerò:
110.000 x 10% = 11.000 euro
Circa 1.000 euro di più rispetto all’anno precedente proprio grazie al fatto che ho investito di nuovo i guadagni.
Andando avanti in questo modo con un rendimento del 10%, ad esempio, il capitale si raddoppia in circa sette anni.
Si comprende bene quindi come avere più tempo a disposizione permette di puntare a dei risultati più importanti.
Dalle tabelle che trovi nel primo modulo puoi facilmente vedere come se vuoi arrivare ad avere 500.000 euro in 20 anni hai bisogno di partire con 100.000 euro di capitale iniziale e investire 5.000 euro ogni anno.
Mentre se invece inizi con solo 10.000 euro e investi solo 3.000 euro all’anno ma lo fai per 40 anni allora arrivi a raggiungere i 533.000 euro attesi.
Molto meno impegno per un risultato superiore.
E’ questo il motivo per cui si dovrebbe iniziare ad investire il prima possibile, anche con piccole cifre.
Se poi hai dei figli piccoli gli faresti un immenso regalo creando un piccolo fondo di investimento per loro già adesso.
Quando saranno grandi si troveranno, con poca fatica, una fortuna (ti suggerisco di rivedere le tabelle a 40 anni del Modulo precedente).
Ricorda, ogni volta che investiamo i nostri soldi ci priviamo della possibilità di utilizzarli adesso per averne di più in futuro.
Questa è la definizione di investimento e la ragione principale.
Un classico esempio è investire per la propria pensione: stiamo rinunciando a spendere oggi una parte del reddito che guadagniamo per avere maggiore sicurezza finanziaria tra molti anni.
Affinché il nostro investimento sia un buon investimento deve permetterci di avere un rendimento positivo.
Il rendimento del capitale è la misura che ci indica quanto il nostro investimento ha corrisposto nel corso del tempo.
Si misura in genere su base annua.
La formula base, molto semplice è:
(Capitale ad inizio anno – Capitale a fine anno) / Capitale ad inizio anno.
Se il 31 dicembre ho sul mio conto 105.000 euro avendo investito 100.000 euro il primo gennaio il rendimento (al lordo delle imposte) del mio capitale sarà:
(105.000 – 100.000) / 100.000 = 5%
Maggiore è il rendimento e maggiore è il capitale che ottengo nel corso del tempo.
Ma, come in ogni aspetto della vita, c’è sempre il rovescio della medaglia. Infatti sarebbe molto bello per tutti poter aspirare ad avere un rendimento molto alto così da diventare ben presto ricchissimi. Ma questo non è possibile.
Perché una delle più importanti leggi della finanza dice che, in genere, ad un maggiore rendimento corrisponde un maggiore rischio ovvero una maggiore probabilità di perdere parte o tutto il denaro investito.
Non posso ottenere con i miei capitali un rendimento qualsiasi ma devo fare una scelta tra alto rendimento e alto rischio oppure basso rendimento e basso rischio.
Ovvero, per dirla in modo più semplice, posso decidere di guadagnare poco, ma con una certa sicurezza, oppure cercare di guadagnare tanto ma con un alto grado di rischio.
Vedremo specificatamente questa relazione tra il rischio e il rendimento nel prossimo modulo.
Tra pochi giorni riceverai il terzo ed ultimo modulo dove vedremo insieme quali sono i passi necessari per investire per crearti da solo il tuo fondo di investimento per la pensione.
Ti anticipo che si tratterà di un procedimento “passo-passo”: si parte dai costi, poi si passa al fattore tempo, poi al rischio ed infine si calcola il rendimento e si scelgono gli investimenti adatti da inserire nel portafoglio.
Nel frattempo, se avessi perso il primo Modulo, lo puoi andare a rivedere attraverso il pulsante qui sotto.
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